Trascrizione (rielaborata) della PRESENTAZIONE del libro, in Piazza Benedetto XIII, già Largo della Chiesa a San Giovanni in Galdo, il giorno 17 agosto 2023
(PAGINA in ELABORAZIONE) Questa pagina è parte integrante del libro e pertanto coperta da COPYRIGHT

San Giovanni in Galdo
Un Secolo di Matrimoni
di Michele Rocco

dall'istituzione dell'anagrafe comunale 1809, all'Unità d'Italia, al 1900, con un salto nel 1700

La foto di San Giovanni in Galdo riportata sulla copertina del libro è stata scattata dalla strada provinciale provenente da Campolieto, in prossimità del campo sportivo. Oltre al panorama del paese con lo svettante campanile, nelle giornate terse, sullo sfondo è visibile il Massiccio del Matese e le cime innevate. Dallo stesso punto è possibile scorgere anche diverse case di Campobasso.

 

Il paese si trova al centro di una conca, cosa apprezzabile percorrendo la Statale 87 (su cui spesso transito per andare da Campobasso al mio paese d’origine, Colletorto). Quando da studente mi recavo a Campobasso, una signora, originaria di San Giovanni, ma che lavorava ed era sposata a Colletorto, dal finestrino del pullman, indicando verso la vallata diceva “questo è San Giovanni, il mio paese”.
La vallata è quella del torrente Fiumarello solcata anche dal torrente Piano Mulino. Quest’ultimo raccoglie l’acqua dalla zona di Santa Maria della Strada per convogliarla nel rivolo su cui insistono le arcate del Ponte Prato su cui passa proprio la SS87. Poco più a valle, il corso è più ripido, tanto da avere la formazione di cascatelle e questo quasi in prossimità di Matrice, sulla

strada che da questo comune (SP 76dir galdina) conduce proprio a San Giovanni. Credo che la maggior parte delle acque del bacino imbrifero provengano proprio da questo torrente.Il Fiumarello parte dalla cresta su cui si snoda la SS87, subito dopo la Stazione di Matrice, in vista e verso Campobasso. I due torrenti si incontrano a valle di San Giovanni, subito dopo il ponte in muratura (quello originale) oggi sovrastato da quello in cemento, della variante stradale della provinciale per chi proviene da Campobasso, che scavalca proprio il torrente Piano Molino. Nei pressi della confluenza ci sono ancora i resti del mulino.

 

Il punto più alto del territorio, posizionato a Nord del paese, è il Colle Rimontato (Core Mnnat), dove si trova anche il Tempio Italico. Mentre il punto più basso (370 mt) si trova al confine tra i territori di Toro e Monacilioni. Poco più avanti il Fiumarello sfocia nel Torrente Tappino che, a sua volte, è affluente del fiume Fortore. Questo è quanto ho scritto sull’orografia del territorio. Il libro e frutto di una ricerca sugli atti anagrafici, ma parlando del paese, così come avevo fatto con il CD-ROM su San Giovanni (dedicato unicamente agli aspetti del paese), ho voluto inserire questi elementi relativamente al territorio.

Nel frontespizio del libro ho voluto inserire uno schema molto semplificato di albero genealogico proprio per dare un’immediata idea del contenuto del libro. Nello stesso frontespizio ho messo in evidenza alcune aree tematiche trattate come il Consenso con Atto Notarile, l’Autorizzazione di Sua Maestà, il Consiglio di Famiglia, gli allegati degli Archivi Parrocchiali. Tutte cose di cui parlerò in seguito.

 

Mostro come documento il frontespizio del registro contenente gli atti di matrimonio proprio all’inizio delle registrazioni anagrafiche, cioè il 1809, secondo i dettami dei Codici Napoleonici del 1808. Naturalmente dal 1809 partono anche gli altri registri come quelli dei nati, dei morti, delle cittadinanze. Tutti questi documenti sono disponibili per la libera consultazione anche su internet su un sito curato dal Ministero della Cultura, facenso si che gli Archivi di Stato Provinciali digitalizzassero questi documenti. I Quando diversi anni fa, nel 1970 circa, mi recai per la prima volta all’Archivio di Stato di Campobasso, ricordo che questi documenti non potevano ancora essere digitalizzati, ma erano microfilmati. Quindi già al tempo si era trovata una forma di conservazione che sopperisse ad eventuali danneggiamenti o perdita dei documenti.

Quelli da me analizzati sono documenti che iniziano ad essere prodotti dal 1809 e sono disponibili (in libera consultazione) per San Giovanni fino al 1910. Il sito che permette di consultarli si chiama Antenati. Il mio lavoro è stato quello di analizzare, con grande fatica circa 1700 matrimoni che sono stati registrati a San Giovanni in Galdo dal 1809 al 1910.

Per iniziare, facciamoci innanzi tutto questa domanda: fin quando possiamo spingerci indietro nel tempo attraverso questi documenti? Per dare una risposta a questa domanda vi mostro un documento che pur trovandosi nei fascicoli dei matrimoni del Comune, non è stato prodotto dal Comune stesso. E’ un documento di quelli che redigevano i Parroci, gli Arcipreti ancor prima che venisse istituita l’anagrafe comunale. Iniziando a leggere il documento vediamo che esso fa riferimento alla Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista. All’epoca, la chiesa era proprio questa che affaccia su questa piazza e di cui resta visibile, come facciata, solo il portale. Questa era la chiesa del borgo, situata proprio nel luogo dove si svolgeva la vita del paese, ma c’era già anche la chiesa di San Germano.

Nell’atto parrocchiale vengono riportati anche i nomi dei Sacerdoti che hanno assistito il moribondo in ultimis. La persona a cui l’atto fa riferimento è Giambattista de Rubertis che ha 69 anni quando muore nell’anno 1756. Questo Giambattista de Rubertis, forse un antenato del Professor De Rubertis qui presente, era certamente un genitore o un avo di uno dei contraenti (sposo o sposa). Abbiamo visto che muore a 69 anni nel 1756. Se fate un po’ i conti, ci troviamo già nel 1600. Ma c’è di più perché sappiamo che era figlio di Francesco e Angelantonia Iacobucci. In questo modo siamo andati indietro anche fino alla metà del 1600. Nell’attestato sappiamo anche il nome della moglie di Giambattista, Giovanna Candia.
Perchè c'e questo documento della Chiesa?

 

Quando si fanno i matrimoni occorre produrre dei documenti. Alcuni sono quelli che può fornire o a cui può far riferimento lo stesso Comune, come la nascita. Occorre avere la certezza dell’identità di chi si sposa e i dati devono essere anche precisi, alla virgola. All’epoca, a partire dal 1809, veniva richiesto anche il consenso dei genitori. Se questi erano in vita, davano il consenso all’atto della promessa (il matrimonio poi si teneva in chiesa). In questa promessa si diceva che erano presenti i genitori e che erano consenzienti. Immaginate all’epoca, in cui l’aspettativa di vita era relativa, i figli che si sposavano intorno ai 20, 25 anni e le donne con ad un’età leggermente inferiore rispetto quella degli uomini, poteva succedere, con una certa frequenza, che non avessero i genitori perché deceduti. Allora si doveva giustificare la loro assenza e quindi il Comune doveva acquisire il certificato di morte. Non avendo questi certificati nel proprio archivio comunale, in funzione solo dal 1809, si dovevano acquisire questi documenti da un archivio già funzionante, che era quello della Chiesa, Archivio Parrocchiale. Quindi ci si rivolgeva al parroco per richiedere l’attestato di morte dei genitori dei contraenti (sposo o sposa). Se il genitore era deceduto, la legge imponeva che a dare il consenso fosse l’avo (il nonno o la nonna) e, in caso di decesso anche di questi (cosa ancora più ricorrente) occorreva allegare il certificato di morte anche dell’avo. E questi attestati venivano chiesti all’Arciprete.

 

Proiezione tabella e grafico matrimoni
Questi in tabella sono i matrimoni dall’inizio delle registrazioni comunali (1809 e fino al 1815), secondo i Codici napoleonici; nel grafico troviamo i matrimoni dal 1816 fino al 1860.
La media era di circa 20 matrimoni all’anno.
L’anno in cui si sono avuti con maggiore frequenza i matrimoni è stato il 1834, ne sono stati registrati 33.
Nel libro è presente anche il grafico del matrimoni dell'Unità d'Italia al 1910.

In cosa consiste il lavoro che ho fatto e i cui risultati ho riportato sul libro? Ho analizzato l’atto di matrimonio, che, in verità, è un atto di promessa che si faceva al Comune. All’inizio è riportato l’anno, che nel caso specifico che vi mostro è il 1846, giorno e mese. Il Sindaco che fa da Ufficiale dello Stato Civile, al tempo era Nicola Fazio.

Nel libro, all’inizio di ogni anno, ho riportato il nome del sindaco. Il sindaco poteva anche delegare altra persona che in genere era il Segretario Comunale, ma anche Assessori facenti funzione. Subito dopo viene riportato il nome dello sposo, l’età e la professione, nel caso specifico Luigi Fiorilli di 25 anni contadino. Viene riportata anche la paternità e la maternità. In questi atti di matrimonio non è presente il luogo di abitazione, che ho ricavato analizzando anche gli atti anagrafici dei nati e dei morti nello stesso periodo. Nel prestampato dell’atto di promessa, di lato, vi è la sezione riservata alla chiesa. Il Parroco davanti ai testimoni, Don Michele Passarelli scc.., consacra il matrimonio e rinvia il documento al Comune, accertandone l’avvenuta unione.

 

 

Anche il Comune esigeva la presenza di due testimoni dei quali è riportata l’età e la professione.
Tutti questi dati li ho riportati su un foglio elettronico in cui ho inserito appunto nome, cognome, età, professione , paternità, maternità dello sposo e, a seguire gli stessi dati per la sposa. Tutto questo ripetuto per circa 1700 famiglie di San Giovanni, tanti sono all’incirca i matrimoni di un secolo, ovvero del periodo che ho analizzato.

Antiche denominazione dei quartieri, le famiglie che vi abitavano, i cognomi più ricorrenti. Il foglio elettronico, attraverso operazioni di filtraggio, permette di categorizzare i dati raccolti. La prima cosa che ha attirato la mia attenzione sono stati i nomi dei rioni e delle strade molti dei quali oggi non più usuali anche nella denominazione corrente. La stessa piazza del borgo denominata Largo della Chiesa, oggi è intitolata a Papa Benedetto XIII Orsini. Su questo aspetto, nonostante ne ho fatto cenno nella presentazione, tornerò più tardi.
Le antiche denominazioni
Forse qualcuno di voi è a conoscenza che questa strada (Via Marconi) che parte subito dopo l’uscita dall’arco del campanile e di dirige, in basso, verso Largo Fiorentini, un tempo, si chiamava Via del Giglio o Quartiere del Giglio, indicata anche come piazza o strada. Vi affluiscono ci vicoli con denominazione ordinale, vico I, vico II, di via Marconi. Tra le antiche denominazioni ricorre questo nome: Castelluccio. Da quello che ho letto, sembra che sia anche il nome in origine del paese. Ricorrente negli atti è anche la denominazione Largo del Castello. Troviamo con una certa frequenza Muro Rotto, Largo della Chiesa (dove stiamo) denominazioni tutt'oggi presenti, Largo della Croce, l’attuale Piazza Municipio. Il Municipio, al tempo aveva una diversa collocazione. Viene riportato Borgo San Germano, prevalentemente come borgo, ma anche via, piazza, strada e i vicoli che vi affluiscono con numero ordinale. (come oggi).

 

 

Una delle denominazioni non più esistenti è Porta del Piano, immagino che nessuno dei presenti ha sentito questa denominazione. Dove si trova questa zona? Ho fatto un’ipotesi analizzando le famiglie che vi abitavano e ne ho dedotto che questa corrispondeva alla zona poi denominata Corso Annunziata (Oggi via Roma). Quella mia è una pura ipotesi e potrebbe rivelarsi decisamente errata, quindi occorrono ulteriori approfondimenti. Porta del Piano forse era solo una denominazione senza che vi corrispondesse una porta vera e propria in muratura.
Troviamo una zona detta Fontana Vecchia, che ugualmente non sono riuscito a localizzare, considerando a parte le fontana a monte e quella che era presente a valle dell’abitato.

Vi è una Piazza Dritta, anch’essa di difficile localizzazione, per quanto abbia fatto delle ipotesi. Ho rilevato, anche se in modo sporadico una Terra Vecchia. Quartieri e famiglie nel 1800

Frequentemente troviamo riportato il Quartiere di Santa Barbara. Esso prende il nome dalla chiesa sconsacrata ivi presente. Il signor Battista Geremia, da me intervistato qualche decennio fa, raccontava: "qua si diceva pure a messa" (la chiesa è vicina alla sua abitazione).
A proposito della Chiesa di Santa Barbara, la signora Incoronata, moglie di uno zio di mia moglie (Liliana Fratipietro), emigrati in Canada, in occasione di un suo ritorno mi riferì che nella chiesa di San Germano, proprio all’ingresso, le due piccole acquasantiere da muro provengono proprio dalla chiesa di Santa Barbara. Furono donate da un altro signore che abitò nella stessa chiesa sconsacrata. Zia Incoronata ricordava che nella vecchia chiesa sconsacrata, dentro queste acquasantiere, vi si andavano ad appollaiare le galline.

 

Un'altra denominazione di quartiere è Forno Vecchio, ed anche in questo caso non ho trovato la precisa corrispondenza, anche se tutt’oggi troviamo la Rua del Forno. Ho rinvenuto più raramente denominazioni come Pio Ospedale, forse un ospizio, una Via Ospizio, zona Macello, e un quartiere San Martino. Ancor più raramente ho trovato anche Strada delle Botteghe.
Ci sono zone che vengono nominate con il cognome della famiglia che, penso, in modo più prevalente vi abitava: Strada o Piazza Majuro, Strada Zampino, Piazza o Strada Iaciello, Strada Cieraffa, Strada Nunzio, questi ultimi cognomi non più usuali in paese. Troviamo le contrade: Archipresbiterio, dove sono stati ritrovati recentemente resti archeologici, Colle (Monte) San Giovanni che non sono riuscito a localizzare. E altre denominazioni come Via dei Giardini e via dei Fiori che da questa piazza si diparte.
Per ogni quartiere o strada ho indicato le famiglie che abitavano, indicando anche la maggior presenza della famiglia. Con un’analisi più particolareggiata e con l’aiuto di qualche anziano di San Giovanni che ricorda luoghi e famiglie, forse è possibile individuare i luoghi delle denominazioni come, ad es., Piazza Dritta.
Per quanto riguarda Castelluccio, denominazione presente negli atti del 1800, ho contrassegnato le famiglie più ricorrenti e così per Largo del Castello. Entrambe la denominazioni sono contemporanee, tanto da far pensare a due luoghi distinti, ma potrebbe essere lo stesso luogo.

Sempre con l’uso dei filtri del foglio elettronico ho individuato i Cognomi più ricorrenti, ma non è detto che quelli posti per prima, come Graziano ecc., siano i più numerosi. Ce la fate ad ascoltarmi?
Nell’invito alla presentazione che ho fatto sui social, ho detto che avrei parlato di curiosità e fatti inediti. Bene, a proposito di cognomi, Piunno, Timperio, Pircio, per esempio, ma anche Zampino, Ramacciato, Di Girolamo, sono cognomi che ricorrono anche nel mio paese di origine Colletorto (per il quale avevo già fatto un lavoro simile). Ebbene tra il primo quarto di secolo 1800 e fino a metà 1800, ho ritrovato molte persone provenienti da San Giovanni in Galdo che si sono trasferite a Colletorto, contraendo qui matrimonio. Credo siano almeno 10 o 15 famiglie (per altrettanti cognomi).

 

Non so dare una spiegazione precisa a questi trasferimenti, ma è un caso piuttosto singolare. Il Sindaco di San Giovanni, l'Arch. Domenico Credico, qui presente, rimarca il fatto che i trasferimenti hanno alla base motivazioni economiche, per trovare sussistenza alle proprie famiglie. Questi cognomi sono tutt’oggi presenti a Colletorto, ma i rappresentanti di queste famiglie non ricordano questa loro provenienza. I Timperio hanno un’azienda olearia, i Pirci hanno un carpenteria metallica, i Piunno, titolari un tempo della taverna, sono diventati commercianti di cereali ed ora hanno negozi di alimentari a Campobasso.
Tra i vari cognomi rinvenuti negli atti, i ci sono cognomi non proprio originari di San Giovanni in Galdo.
Provenienza da altri Paesi I contraendi i matrimoni venivano anche da altri paesi ed in particolare da quelli più vicini come Toro,Campodipietra, Matrice (a questi Comuni ho fatto dono del libro che ho realizzato su San Giovanni, inserendo un foglio integrativo dove ho elencato tutti i matrimoni avvenuti tra persone di questi paesi e sangiovannari, nel periodo analizzato). Altri matrimoni si sono tenuti anche con paesi più distanti e anche al di fuori di quella che era la Provincia di Molise. Ho, poi già riferito dei sangiovannari trasferitesi a Colletorto, come vi è almeno un caso di colletortese che si è venuto a sposare a San Giovanni.

ATTIVITA’ SVOLTE. Sono quelle rilevate negli atti matrimoni sia per quanto riguarda i contraenti (sposo e sposa) che i loro genitori, ma anche quelle esercitata dai testimoni presenti agli atti. Mel libro ho fatto due elenchi distinti per evitare confusioni nel riportare come periodo l’intero secolo 1800. In verità sarebbe stato opportuno farlo per periodi di 25 anni, ma poi ci sarebbero state sovrapposizioni dei nomi tra primo e secondo quarto di secolo. Quindi ho optato per la divisione in cinquantenni, prima dell’Unità d’Italia e dopo. E’ possibile che ci siano delle sovrapposizione tra padri e figli a cui è stata tramandata l’attività.
Queste che vi mostro in questa diapositiva sono solo alcune attività, l’elenco completo, almeno per il periodo post unitario è disponibile su INTERNET, e forse, col tempo, inserirò anche altre pagine nel libro. Creare una pagina web richiede un certo impegno rispetto alla pagina dattiloscritta. Occorre creare tabelle, per inserire anche immagini, indicare nel linguaggio specifico quando andare a capo ecc.

 

La maggior delle persone che abitavano a San Giovanni erano dedite alla coltivazione dei campi per cui l’attività prevalente riportata negli atti è quella di contadino, per alcuni periodi indicato anche come bracciante, agricoltori. Alcuni, che non lo erano già, diventano, col tempo. anche proprietari o possidenti. Un’attività che ricorreva soprattutto nella prima metà del 1800 era il Massaro di Campo. Il massaro gestiva le cose di campagna, le sue proprietà o quelle degli altri.
Ho rilevato, poi, diversi di artigiani: muratori, falegnami, sarti. calzolai, fabbri. Ho massimo rispetto per questa categoria il cui lavoro mi ha attratto fin da piccolo, frequentando le loro botteghe o i cantieri.

Quando mi sono sposato, a San Giovanni c’era ancora qualche artigiano, ricordo il fabbro che stava qui sotto e che mi pare si chiamasse Colarocchio. Mio suocero Michele Fratipietro contava amicizia con il fabbro e, in un caso, lo stesso fabbro trovò anche la soluzione ad un oggetto che mi si era rotto. Creare dal ferro una qualsiasi cosa per me è straordinario e vale altrettanto per quello che fanno muratori e falegnami, ecc.. Anche se in numero molto contenuto c’erano negozianti, cantinieri, merciai, carrettieri. Alcuni di questi ultimi acquisiscono il servizio postale, altri trasportano merci e anche persone. Troviamo, poi, i professionisti: Medici. Farmacisti, Speziali. Il farmacista era un laureato, lo speziale quasi un diplomato che preparava le medicine, unguenti e quant’altro. C’erano i Flebotomi, ne avete sentito mai parlare? Anch’io la prima volta sono rimasto “sorpreso”. Il flebotomo era il salassatore, quello che usava le sanguisughe. A San Giovanni ce n’erano 4 o 5, in genere era un mestiere che facevano i barbieri, (ma sono riportati anche dei veri e propri professionisti con tanto di Don, come don Pasquale Celenza). Poi c’erano le figure istituzionali, perché qui a San Giovanni, credo già dai tempi dell’istituzione dell’anagrafe comunale, e forse proprio in quel periodo, entrò in funzione il Giudicato Regio. Questo era un Tribunale con un Giudice, un Cancelliere, una serie di persone che vi lavoravano e gli uscieri, Questi ultimi, per il loro ruolo, erano così “riveriti” che la gente li chiamava col “don”. Lo stesso sindaco, del tempo, nella registrazione, antepone il don al nome quando li cita, spesso come testimoni agli atti. Tra di essi Don Zaccheo Miozzi.
In Genere il Giudice Regio non era originario di San Giovanni ma veniva da fuori (spesso da fuori provincia) con la sua famiglia. Inizialmente l’ho trovato abitante in un palazzo che affacciava su questa piazza, Largo della Chiesa, e qui c’era anche la sala delle udienze. Non ho elementi per dire che poteva trattarsi proprio della Casa Abaziale, ma suppongo che fosse questo il palazzo. Il Giudicato Regio era un’Istituzione importante, in quanto era a servizio di tutto il circondario, ovvero vi affluivano i paesi limitrofi, Campolieto, Campodipietra, Toro, Matrice. Quando si doveva risolvere qualche controversia, la gente si recava dal Giudice Regio, o Giudice di Pace, e qui venivano esposte le ragioni delle parti in presenza degli avvocati. Guarda caso, in questa prima parte del 1800, a San Giovanni c’è quasi una specie di boom di avvocati. Tra i sostituti del Giudice o del Cancelliere ho trovato anche persone di San Giovanni. Giudici e Cancellieri portavano con se la famiglia e, non di rado le loro figlie, abitando qui, si trovano ad aver sposato un sangiovannaro.
C’erano gli impiegati comunali a vario titolo, il Cancelliere Archivista che con l’Unità d’Italia viene chiamato Segretario Comunale, Serventi, un Agente daziario, una Guardia, una Guardia campestre.

Il Comune di San Giovanni in Galdo per un lungo periodo, come risulta nell'intestazione degli atti, era ubicato in via del Giglio e, credo, che condividesse gli stessi locali del Giudicato regio, che, per quanto riportato in Largo dei Fiorentini. Infatti, a fare da testimoni troviamo gli uscieri del Giudicato e, a volte, anche il Cancelliere, se non lo stesso Pretore. Normalmente questi testimoni erano persone che venivano chiamate al momento. Potevano essere artigiani o commercianti che abitavano lì vicino, persone sul tipo del pensionato di oggi. In alcuni periodi ci sono nomi ricorrenti e spesso sono serventi comunali o becchini (negli atti di morte in particolare). Recentemente sullo stesso palazzo è stata posta una targa in ricordo di Pasquale Ioffredi (che fu Consigliere regionale). Il Sindaco Credico, qui presente, evidenzia come quel palazzo sia una costruzione risalente al 1400 ed era un immobile isolato.

 

In questo stesso palazzo c'era la Caserma dei Carabinieri, come riferisce anche il Masciotta, in Largo dei Fiorentini e, pare che verso la fine del 1800, inizi 1900, per indisponibilità dei locali, fu trasferita a Toro. Il Signor Geremia nell'intervista dice che in questo immobile, indicatomi come palazzo Daniele, c'era la Pretura e la Caserma.
La Caserma era tenuta da un Brigadiere dei Reali Carabinieri e, in uno degli atti analizzati, viene riportata la morte proprio di un Brigadiere all’interno della caserma.
Troviamo anche un Capitano della Civica (una forza di intervento per particolari occasioni) nella persona di Don Giovanni del Vecchio. Viene citato anche un Un Capitano Petrucci di Toro.

 

Con la presenza del Giudicato, c’era anche il Carcere Mandamentale in cui venivano reclusi soggetti pericolosi di tutto il Circondario. Ho ritrovato negli atti sia i nomi di persone carcerate, ma anche nomi di carcerieri, e tra questi il Custode delle Prigioni Giovanni Graziano.
Mostro la foto di quel fabbricato che un tempo era adibito a carcere (sotto Santa barbara) Mi diceva il ricordato Sig- geremia che sotto c’erano gi uomini e al piano di sopra le donne. A seguito di un’avasione, non ritenendolo più sicuro, il carcere fu spostato vicino alla Caserma dei Carabinieri in Largo dei Fiorentini.

C’erano Notai e Avvocati, riportati in genere come Legisti. Come Don Nicola e Don Giovanni del Vecchio, Don Francesco Credico, Don Giovanni Magri, Don Nicola De Majoribus. Questo ultimo cognome mi pare che non esista più a San Giovanni. Don Gennaro Passarelli, cognome che, penso, sia ancora ricordato, un Passarelli fu Segretario comunale, C’è un Don Pietro Vasilotta, ma, in questo caso, voglio far notare come abitasse in Largo della Croce, ovvero l’attuale piazza Municipio su cui insiste ancora il notevole palazzo che fu della famiglia.
Troviamo Sacerdoti e Religiosi. Dei primi ce n’erano tanti, citati dagli Arcipreti come officianti nei battesimi o come assistenti in ultimis negli atti di morte. Vi sono stati anche diversi religiosi tra cui Padre Dionisio Piccirilli.

Luoghi in cui si esercitavano le attività.
Molte di queste attività, inizialmente, si svolgevano qui all’interno del borgo antico (Morrutto) e qui, in questa chiesa (ora sede del Municipio), si veniva a messa. Poi queste attività si sono spostate o estese nella zona diciamo fuori dalle mura.

La prima zona che troviamo, diciamo, fuori dalle mura è Piazza del Giglio, proprio uscendo dall’arco del campanile. Tutta la strada doveva essere uno dei luoghi in cui ci dovevano essere queste attività, artigianali, di commercio e professionali Avvocati. Farmacisti, Medici. La stessa cosa vale anche per Borgo San Germano. Successivamente, proprio le attività esistenti in questo luogo più angusto, almeno per l’idea che mi sono fatto leggendo gli atti, si sono spostate, in particolare quelle artigianali, in Corso Annunziata (attuale Via Roma), dove c’erano spazi più ampi. Ma anche questo aspetto necessita di ulteriore studio. Ho dato una ragione nel libro, dicendo che lì potevano disporre di spazi maggiori, potevano disporre di botteghe a fronte strada. Immagino un maniscalco, un ferraio che ha bisogno di questi spazi.

 

 

Analisi degli Atti Parrocchiali allegati
Ho inserito a questo punto la Chiesa di San Germano, a vederla così, con il campanile retrostante potrebbe dare l’impressione che appartenga a questa chiesa , almeno per quelli come me che non sono sangiovannari e vengono in paese per la prima volta. Quando poi si arriva sotto il campanile e, passando sotto il suo arco, ci si ritrova in questa piazza, ci si accorge che il campanile è una struttura legata a questa chiesa diroccata all’interno del borgo. Faccio riferimento a questa chiesa del borgo per iniziare il discorso sull’analisi dei documenti parrocchiali. Non ho analizzato questi documenti che, come il altri casi, datano almeno 100 anni prima rispetto a quelli anagrafici del Comune.

A questo proposito, l’anno scorso, quando è stata fatta la nuova intitolazione di questa piazza, proprio qui è stato ricordato che questo Cardinale Orsini (in questa veste quando era a San Giovanni) da Papa (Benedetto XIII) abbia reso diffuso la registrazione, quando prima era a discrezione dei singoli arcipreti.
Pur non avendo visionato direttamente i registri parrocchiali, ho trovato questi atti redatti dagli Arcipreti come allegati alle promesse di matrimonio.
Nel fascicolo creato appositamente per il matrimonio c’erano gli atti di nascita degli sposi, gli atti di morte dei genitori e degli avi. Agli inizi delle registrazioni comunali (1809), e per un primo periodo di qualche decina di anni, non essendo disponibili questi documenti nell’archivio del Comune, si attingeva ai registri della Parrocchia.
Un particolare, San Giovanni faceva parte, anche in periodi recenti, della Diocesi di Benevento. Quando ci siamo sposati (qui a San Giovanni), mia moglie, nata a San Giovanni, ha dovuto richiedere il certificato di battesimo in cui era riportata l’appartenenza della Parrocchia alla Diocesi di Benevento e questo mi ha meravigliato.

San Giovanni era legato a Benevento e alla Chiesa di Santa Sofia. li presente, in quanto era feudo ecclesiastico, e diversamente da altri paesi, faceva parte della zona di pertinenza dei vescovi, che nel tempo, si sono succeduti in quel luogo. L'Orsini viene qui a San Giovanni proprio perché era feudo ecclesiastico.
Proprio in occasione della nuova intitolazione l’Architetto Franco Valente accertò, descrivendolo, che lo stemma posto sul portone della Casa Abaziale è dell’Orsini. A rimarcare questo fatto, è la presenza dell’affresco rinvenuto nella sala acquisita di recente dalla Società Operaia; nell'affresco è rappresentato San Filippo Neri, santo a cui l’Orsini era particolarmente devoto, per avergli salvato la vita (come riferito dallo stesso Valente).

 

 

Suppongo che l’Orsini, quando veniva a San Giovanni, dimorasse proprio nella Casa Abaziale che affaccia su questa piazza. Il Cardinale Vincenzo Maria Orsini è venuto a San Giovanni nel 1707, come recita la lapide posta all’interno della Chiesa del Convento per consacrare la stessa chiesa e gli altari.

Mi dispiace un po’ per il Cardinale Fabrizio Ruffo. Nonostante i suoi trascorsi, abbiamo sempre immaginato che lo stemma posto all’ingresso della Casa Abaziale fosse dei Ruffo. Il Cardinale Ruffo viene in paese, molto tempo dopo l'Orsini, verso la fine del 1700, quando San Giovanni non era più feudo ecclesiastico Giambattista Masciotta, noto storico di Casacalenda, che ha scritto la monografia di San Giovanni (come quelle degli altri comuni del Molise a inizio secolo 1900) ricorda la figura del Ruffo, che come l'Orsini hanno una certa rilevanza storica.
Il Cardinale Ruffo rientra nella storia del Regno di Napoli per aver organizzato la reazione, a capo dell’esercito Sanfedista, contro coloro che, sulle idee innovative provenienti dalla Francia post rivoluzionaria, avevano voluto creare la Repubblica Napoletana (ne fece, al tempo, un Saggio lo storico molisano Vincenzo Cuoco). Repubblica che durò pochi mesi, proprio per la repressione attuata dal Cardinale Ruffo. Il Ruffo assoldò un signore dalla discussa fama, come evidenzia lo stesso nomignolo di Frà Diavolo (Nel film comico con Stallio e Ollio è nelle vesti di un raffinato corteggiatore, intento, però, a rubare i monili delle ricche signore che seduceva). Nella realtà il suo nome era Michele Pezza ed era nato ad Itri in provincia di Latina.
La Rivoluzione Napoletana fu fatta da borghesi, (cosi come era successo nella Rivoluzione Francese), vi parteciparono anche diversi molisani e, nonostante che il Re Ferdinando IV avesse promesso al Ruffo, che non ci sarebbe stato spargimento di sangue, molti “rivoluzionari” furono giustiziati e tra essi anche Molisani di Casacalenda, di Campobasso, di Termoli, di Agnone.
Al tempo del Bicentenario della Rivoluzione Napolatana, da docente tutor per le nuove tecnologie didattiche, a scopo dimostrativo. realizzai un CD-ROM "Il Molise e la Rivoluzione Napoletana del 1799" ed anche delle pagine su INTERNET, includendo il legame del Ruffo con San Giovanni. A San Giovanni il Ruffo lo si ricorda ancora nella farsa carnevalesca "Vuoi sposare Don Pasquale?". Il collega Michele Credico così recita: “Nel 1795, nonostante che San Giovanni fosse Terra Regia". San Giovanni non era più feudo ecclesiastico, ma nonostante questo, fu mandato qui il Cardinale Fabrizio Ruffo (da parte del Re di Napoli, forse per ricompensarlo dei suoi servigi al Regno, ma più verosimilmente per allontanarlo, visto il chiacchiericcio creatosi sul modo di vivere dell’alto prelato).
Nella farsa un suo parente Don Pasquale, forte dei trascorsi del suo illustre antenato, viene in paese a cercar moglie, ma i sangiovannari gli riservono una sorpresa, per poi cacciarlo a malo modo: vaffa a Napoli Don Pasquà.

Gli atti di Battesimo
In uno di questi atti, quasi in intestazione, l’Arciprete riporta Città di San Giovanni in Galdo e firma come Francesco Magri, a lui segue Belisario Magri, che per la particolarità del nome forse qualcuno di voi lo avrà sentito nominare. Tra i due c’è stato anche un Giuseppe Magri che firmava gli atti da Econimo. E si può notare che nella famiglia Magri come nella famiglia Credico vi sono stati Arcipreti e Sacerdoti. Don Ottavio Credico fu arciprete anche di Matrice, stiamo parlando di due secoli fa.

 

L’Arciprete era quello che redigeva l’atto ma il battesimo lo faceva un Sacerdote (nel caso specifico Don Giuseppe de Majoribus, Prete Partecipante di questa Chiesa Arcipretale della Città di San Giovanni in Galdo) da lui autorizzato. Quello che vi volevo far notare è che questo atto che viene allegato al “processetto” di matrimonio viene redatto in copia 25 anni dopo. Nel caso specifico chi redige l’atto al momento del battesimo è l’Arciprete Francesco Magri, chi ne fa la copia per mandarla al Comune , nel momento in cui, 25 anni dopo, il battezzato si sposa, è l’Arciprete Belisario Magri.

Una curiosità riguarda i i compadri e le comadri,avvero i padrini. La maggior parte dei neonati veniva battezzato dalle persone comuni, ma (forse per ingraziarseli ci si rivolgeva a benestanti) e molto richiesta era questa signora la Mag.ca Elisabetta Miozzi (del Mag.co Domenico e Caterina Graziano) e alcune altre volte le sue sorelle. Vengono appellati come Magnigici. In qualche caso troviamo tra compadri e comadri anche persone di paesi distanti come un Saverio Picchione con relativa consorte di Bonefro, che, evidentemente, stante la distanza, fa procura all’Arciprete affinche sia rappresentato dalla Levatrice (di San Giovanni) Carmina Graziano.

 

Questi atti venivano redatti proprio all'interno della Chiesa che, un tempo aveva la sua facciata su questa piazza. Una facciata rettangolare, così come è stata ricostruita in modello esposto nel fondaco dietro questa postazione. L'idea da un quadro realizzato dal Prof. Annunziato De Rubertis, qui presente. Non la immaginavo in questa forma.

 

Atti di Morte allegati.
Parliamo sempre di atti di morte redatti dagli arcipreti.
In questi atti ci sono frasi ricorrenti "morto in grembo a S.M.C.", "Sacramentato", per giustificare la sepoltura in chiesa (intorno) e la frase “assistito a ben morire”.
Spesso troviamo la causa di morte, morte repentina, ma anche morti accidentali e violente. Tra quelle accidentali la caduta di un albero in campagna, morto per essere stato schiacciato dalle pietre a secco del pagliaio. Quelle violente perché purtroppo succedevano anche al tempo ed è riportata questa persoma morta per un colpo di archibugio.

Nel libro ho cercato di salvaguardare la riservatezza, evitando di scrivere, a volte, i cognomi pur trattondosi di cose avvenutu oltre 200 anni. Lo esigono anche le regole deontologiche del sito dove sono pubblicati gli atti. Nei miei database (fogli elettronici) sono integralmente riportati cognomi e notizie. Chi ha interesse o curiosità può andarsi a ricercare gli atti in copia degli originali ed in questa ricerca, come nella ricerca dei propri antenati, possono fare affidamento sulla mia collaborazione on-line. .

Ho riportato questo caso particolare di una persona che non era di San Giovanni ma di un paese distante, mi pare oltre Campobasso. E’ il genitore o il nonno di una persona che viene a sposarsi a San Giovanni o che comunque ha attinenza con lo sposalizio. Mi pare che fosse una persona benestante e forse per qualche malefatta, senza l’onore dei funerali, viene gettato con dispresso nella sepoltura degli uomini del proprio paese. Questo, tra le altre, ci fa capire che c’era una distinzione delle sepolture tra maschi e femmine. Le sepolture all’epoca avvenivano intorno alle chiese, quelli erano i cimiteri di una volta.

 

 

Luoghi di sepoltura
Erano appunto gli spazi intorno alle chiese. Nella maggior parte dei casi viene indicata proprio questa ex Chiesa Matrice. Ma luogo di sepoltura era anche la Chiesa di San Germano. Quello che mi ha incuriosito di più è che all’interno di questa Chiesa di San Germano vi era la sepoltura della famiglia Barbati. Questa è una famiglia originaria di Isernia ma imparentata con la famiglia Del Vecchio. Vi viene sepolto Don Michelangelo del vecchio. Dove si trovasse questa sepoltura non so dirlo, forse poteva trovarsi al pavimento.

E c’è anche qualcosa di collegato al Convento, non ho trovato proprio il riferimento a sepolture ma una lapide posta in fondo ricorda Don Nicola del Vecchio, di professione Legista, che muore nel 1837 a a 52 anni. In un atto parrocchiale si ritrova anche un Don Domenico del Vecchio, associato alla Chiesa del Convento. Chiesa che risultava di proprietà comunale, come ancora tutt’oggi lo è.
Sempre legata al Convento è la vicenda di Domenico che muore proprio nel Convento a seguito dello scoppio di un mortaletto e forse proprio in occasione della Festa del Carmelo.
Vi è poi un caso particolare, forse un lontano parente di mia moglie, un certo Pietro Fratipietro che faceva l’Eremita nel Convento del Carmine ma di Riccia e dove muore.
Un altro signore (Don Giovanni Gagliardi) è morto a Napoli e seppellito nella Chiesa dei Pennellari, atto con timbro della Parrocchia di Sant’Arcangelo degli Armieri.
In ogni caso, queste persone hanno sempre attinenza con i matrimoni di San Giovanni e con gli sposi; sono genitori, avi o coniugi deceduti.

Arcipreti e Sacerdoti
Analizzando i documenti provenienti dalla Parrocchia, ho potuto rintracciare Arcipreti e Sacerdoti officianti, al tempo. Ho riportato i loro nomi, dalla metà del 1700, facendo un confronto con l'elenco degli arcipreti pubblicato dal Masciotta (fino ai suoi tempi 1900) nella sua monografia su San Giovanni in Galdo.

A partire dal 1753 troviamo Don Carmine Credico che, come detto, diventa anche Arciprete di Matrice. Don Giuseppe Ciurla (o Ciarla come riporta Masciotta). Don Giovanni Iannelli, cognome non usuale, oggi, nel paese. Don Francesco Magri a cui segue l’Economo Don Giuseppe Magri per arrivare a Belisario Magri. Poi Troviamo Don Francesco Benedetto Colajanni e a seguire Don Michelangelo Del Vecchio. L’ultimo arciprete del periodo è Don Basilio Barile penso originario di Campodipietra. Troviamo anche una serie di Diaconi che poi diventeranno Sacerdoti.
Se andiamo a guardare bene, sia nella famiglia Credico che in quella Magri si trovano con più frequenza i curatori di anime.

 

Questi sacerdoti erano presenti in particolare nelle famiglie benestanti.
La Parrocchia di San Giovanni aveva un proprio il timbro che veniva apposto sui documenti da essa prodotti, al centro è posta la figura del Battista. Ho messo anche un tibro relativo a Benevento ma non c’entra nulla se non per ricordare che San Giovanni faceva parte della Diocesi di Benevento. Troviamo ache timbri particolari in riferimento a persone che vengono da altre parrocchie, come quelli delle Parrocchie di San Leonardo e Santa Maria della Croce di Campobasso.

 

Atti propri del Comune di San Giovanni in Galdo
Dopo circa 20 anni dall'istituzione dello Stato Civile, il Comune comincia ad essere in grado di reperire già alcuni documenti nel proprio archivio.

 

Il Comune, come detto, era ubicato in Via del Giglio (oggi via Marconi) e, verosimilmente, nello stesso palazzo che ospitava il Giudicato Regio (in Largo dei Fiorentini).
Ho inserito questa intestazione dell’Amministrazione Comunale per iniziare l'analisi dei documenti propri del Comune e che dovevano essere allegati alla promessa di matrimonio.
Gli atti e le dichiarazioni a cui fanno riferimento, dovevano essere fatti in presenza del Sindaco nelle vesti di Ufficiale dello Stato Civile. Il Sindaco aveva facoltà di delegare, in sua assenza, un Assessore (anziano) facente funzione. A questo scopo, soprattutto in alcuni atti, veniva delegato in modo permanente il Cancelliere, che, con l'Unità d'Italia, diventa Segretario Comunale.

Atti di Nascita
A denunciare il neonato, davanti al Sindaco o a un suo delegato, è generalmente il padre del neonato. Del genitore viene riportato nome, età, paternità e professione e luogo di abitazione a cui seguono le generalità della moglie (leggittima). Gli atti di nascita, come gòi altri, sono riportati su un prestampato per cui sono tutti uguali se non nei nomi e nella generalità dei soggatti che sono scritti a penna.
Gli atti che più incuriosiscono sono quelli che riportano casi particolari, in genere, non molto frequenti in paese. Casi in cui la denuncia di nascita è fatta dalla Levatrice. Questo succedeva se il padre non era presente perché fuori domicilio, perché era deceduto o perché ignoto.

Nel caso di padre ignoto, la madre la si conosceva ed il bimbo prendeva il suo cognome. In realtà più grandi c'era anche il fenomeno degli abbandoni di questi neonati, vicino agli usci delle porte delle ultime case del paese. La mattina i proprietari si trovavano il neonato piangente e lo portavano dal Sindaco che, dopo i sommari rilievi, gli dava il nome e ne faceva l'affido. Penso che proprio per evitare questa pratica dell’abbandono, a livello centrale, fu consentito alla donna che aveva partorito di non essere nominata nell’atto di nascita. In questi casi i Sindaci mettevano al neonato nomi e cognomi di fantasia. Lo affidava alla levatrice che se ne occupava in prprio o lo conduceva al Befrotrofio di Campobasso. A volte, la mamma a distanza di tempo ne facevam il riconoscimento.

 

Atti di Morte
Anche questi atti vengono scritti su un prestampato e riportano anche l'età del defunto. Naturalmente anche in questo caso troviamo atti particolari come i Morti Fuori Domicilio Una persona muore in provincia di Napoli, un altro a San Biase, un altro ancora in Provincia di Capitanata. Della Capitanata, fino agli inizi del 1800, faceva parte il Basso Molise, Larino con tutto il suo Circondario, compreso Termoli e anche il mio paese Colletorto. San Giovanni, al tempo, rientrava già nella Provincia di Molise.

 

Un caso particolare è quello di queste quattro persone che sono morte a nella Catastrofe di Casamicciola del 1883, cioè un terremoto e queste persone sono morte sotto la macerie ed erano di San Giovanni. Cosa ci facessero a Casamicciola non lo so. Ricordo però che il mio bisnonno materno, nonostante non fosse un benestante, ma riusciva guadagnare qualcosa con la vendita dei prodotti del suo orto, ogni anni si reacava con la moglie alle Terme di Casamicciola per 15 giorni. Parlo dei casi particolari perché questi richiamano di più l’attenzione. In un altro caso una donna muore sepolta dalle rovine conseguenti al Terremoto del 26 luglio 1805, è un fatto avvenuto in un altro paese, ma si cita questo terremoto che è lo stesso a cui fa riferimento la Festa del Grano di Jelsi.

Emigrazione e morti all’estero e in viaggio
Verso fine 1800 inizia l’emigrazione in particolare verso le Americhe. E negli atti troviamo persone che muoiono all’estero, ed in particolare nell'America del Nord. I documenti che attestano queste morti venivano forniti ai Consolati, che li inviavano al Ministero italiano e da qui alle Intendenze provinciali, che provvedevano a consegnarli ai rispetivi Comuni. E quindi, prima che il documento arrivasse in Comune, passavano, in qualche caso, anche un paio di anni. Questi documenti di morte sono molto dettagliati. Riportano il luogo dove è avvenuto l’evento, il Pastore cattolico che aveva celebrato il funerale e l'area delle Chiese Cattoliche dove venivano seppelliti, e soprattutto particolari relativi alla causa di morte. Malattia, incidenti o, addirittura, morte per stenti, si legge proprio cosi.

Riporto il caso di Antonio che muore nel Borgo di Stenton in America, capitato sotto una locomotiva e di questo evento ci sono due testimoni, il macchinista e un operaio italiano. Un caso non citato è quello di Saverio che muore per un colpo di pistola. Poi c’erano quelli che morivano in viaggio. Ce ne sono almeno due o tre che ho trovato. Uno di essi riguarsa un uomo che muore sul vapore di Commercio Bearu di una Società di trasporti armato a Marsiglia. Il Capitano della nave redige l’atto ed appena è possibile consegnarlo a terra, viene inviato al Consolato. Il cadavere credo venisse buttato in mare. Questi documenti erano scritti nella lingua della nazione in cui era avvenuto il decesso e il consolato italiano provvedeva a farli tradurre.

 

 

La Serie dei Sindaci
E' l'elenco dei Sindaci, a partire del 1807, che ho ripreso parimenti dalla pubblicazione di Giambattista Masciotta - Il Molise dalle Origini ai Nostri Giorni - Monografia su San Giovanni in Galdo. Sono i Sindaci che ho trovato scritti sugli atti con la loro firma e il suggello (timbro) del Comune di San Giovanni.
Nel libro, sezione matrimoni, li riporto all'inizio di ciascun anno. Nel libro è possibile trovare anche i Cancellieri Archivisti, come in Notaio Mastrosanto presente nei primi atti e, dopo l'Unità d'Italia, i Segretari Comunali. In uno dei documenti ho rinvenuto anche i componenti della Giunta Municipale. E, come detto, ci sono Assessori che facevano funzione del Sindaco in sua assenza.

Altri Documenti allegati ai processetti di matrimonio.
Come dicevo, i contraenti (sposo e sposa) avevamo bisogno del consenso dei genitori. Se questi erano presenti lo davano direttamente. “presente e consenziente”. Ma in qualche caso succedeva che, essendo questa una promessa, a volte i genitori, se provenienti da paesi distanti, viste le distanze e i mezzi di trasporto del tempo, si portavano, eventualmente, a San Giovanni nel giorno stabilito per il matrimonio in chiesa. Lasciando muovere per la promessa solo le carte. In questi casi veniva dato il consenso con atto notarile. Nello Studio del Notaio (del paese di domicilio dei comparenti o del notaio), in genere era la madre, autorizzata dal marito a dare il consenso affinchè il proprio figlio (figlia) sposasse la sua amata (amato). La cosa, come ben capite, sa tanto di contratto. Il notaio aggiungeva qualcosa anche da parte sua ma cone se uscisse dalla bocca della comparente o di entrambi i genitori. Si tratta di note di compiacimento, ad esempio, nei confronti della sposa che ne ne apprezzano le doti e la "dote”. L'atto del Notaio iniziava con l’intestazione Regno delle Due Sicilie, Re Ferdinando I ecc. L’atto veniva redatto davanti ai testimoni, invitati dallo stesso notaio, e dei quali evidenzia l'esser “forniti delle qualità prescritte dalla legge e a me Notaio ben noti”.

Questo che vi mostro, anche se fatto dal Notaio Vena di Ielsi, è proprio il testo di un atto notarile di consenso. Il Notatio esigeva il suo onorario e le tasse di registrazione. C’era il Bollo con 12 grana e alla fine vi era la distinta di tutti i costi e il suggello, ovvero il timbro che lui definisce segno del mio tabellionato. Il timbro mostrato in basso è quello del Notaio Giovanni Mancini di San Giovanni Giovanni. Il timbro credo che sia proprio quello posto nell'atto di consenso dei genitori di Colletorto per la loro figlia che andava in sposa ad un sangiovannaro.

 

 

Autorizzazione di Sua Maestà il Re di Napoli per minorenni
Si tratta di documenti che ho trovato solo per i primi 10 anni dall’istituzione dell’anagrafe. Se a sposarrsi erano soggetti poco più che adolescenti (dai 13 ai 16 anni) non bastava il consenso dei genitori occorreva chiedere l’Autorizzazione a Sua Maestà il Re di Napoli. Ed il Re concedava l’autorizzazione ma con tutti i passaggi burocratici. Nel periodo napoleonico, il Re di Napoli era Gioacchino Murat, ne conosciamo la fama anche per l’urbanistica di Campobasso “moderna”, ovvero la cosiddetta Città Murattiana, (Corso Vittorio Emanuele, Viale Elena Il Municipio e le due ville antistante e retrostante).

Consiglio di Famiglia
presso il Giudicato Regio di San Giovanni in Galdo
Qui mostro di nuovo largo dei Fiorentini e il palazzo che al tempo ospitava il Giudicato regio. Dopo l’Unità d’Italia questa istituzione prende il nome di Pretura Circondariale e manterrà la stessa ubicazione nel palazzo di Largo dei Fiorentini. Qui venivano decine di persone e non solo quelli di San Giovanni ma quelli dei paesi intorno. Io penso che su questa piazza la mattina vi doveva essere proprio una folla di gente che vi si recava con asini, muli cavalli.
Cosa si faceva in particolare nel Giudicato regio per quanto riguarda i Matrimoni? Si faceva il Consiglio di Famiglia. Questo era necessario quando contraenti erano minorenni e i genitori erano deceduti. Il consenso, in questo caso, doveva essere dato dai parenti più prossimi. fratelli, zii, cugini, cognati, ma, a volte, anche confidenti degli scomparsi genitori. La richiesta doveva essere fatta dalla parte in causa quindi lo sposo o la sposa.

 

La richiesta doveva essere fatta dalla parte in causa quindi lo sposo o la sposa. In verità era un parente che se ne interessava. Il Giudice convocava, in genere, tre componenti dal lato paterno e tre dal lato materno dello sposo (o sposa) ed erano loro a doversi esprimere sulla convenienza del matrimonio. Anche in questi casi, così come faceva il notaio per il consenso con procura, anche il Giudice con frasi fatte riportare sul provvedimento, esalta le qualità della sposa, la dote ecc. o nel caso dello sposo la possidenza ecc. Riporto un caso singolare relativo a Colletorto. Una ragazzina di 14 anni che aveva espresso la volontà di volersi sposare, dopo essere stata ascoltata, il Giudice la fa “segregare” in un’altra stanza, affinchè non senta ciò che diranno i parenti.

 

Alla ricerca dei propri ANTENATI e costruzione dell'ALBERO GENEALOGICO

Quasi i due terzi del contenuto del libro riguarda la raccolta dei matrimoni che si sono tenuti a San Giovanni in Galdo dal 1809 al 1910. Analizzando altri documenti di anagrafe ho cercato di integrare questi atti di matrimonio in modo da arrivare quanto più indietro possibile nel tempo, nella ricerca delle generazioni passate.

 

Faccio riferimento all'atto di promessa di matrimonio di Luigi Fiorilli, riportato all'inizio (qui trascritto nella pagina del libro). Il matrimonio è del 1846, riesco ad individuare il padre Carmine che a sua volta era figlio di Giuseppe, ma queste sono già delle integrazioni che ho fatto. Giuseppe è morto nel 1823 a 83 anni, ci troviamo nella prima metà del 1700 e, considerando che sono riportati anche i suoi genitori, possiamo dedurre che il padre Egidio sia vissuto all’inizio del 1700. Come collegare questo matrimonio di oltre un secolo e mezzo fa ai nostri antenati più prossimi?

I nostri antenati più prossimi (nonni e bisnonni) di cui sicuramente conosciamo i nomi, possono essere individuati nell'ultima sezione del libro (matrimoni di fine 1800 inizio 1900). Nell’esempio faccio riferimento ad un matrimonio del 1916 in cui Domenico Fiorilli sposa Maria Luisa Geremia. I Genitori di Domenico sono Carmine e Natalizia Credico. E qui, come vedete ho messo una nota di riferimento (Rif. 1874 17 Fiorilli-Credico). Questo significa che i genitori di Domenico si sono sposati nel 1874.

 

Vado a ricercare nel libro l’anno 1874 e il matrimonio 17 Fiorilli-Credico. Nel 1874, trovo che Carnine (padre di Domenico) è figlio di Luigi e Maria Incoronata Graziano. E qui c'è il successivo riferimento (Rif. 1846 14 Fiorill- Graziano). Vado a ricercare nel libro l’anno 1846 e trovo il matrimonio 14 Fiorilli-Graziano, a cui ho fatto riferimento all'inizio.

 

In questo caso specifico l’antenato più remoto a cui possiamo risalire per quanto riguarda Domenico Fiorilli (che si è sposato nel 1916) è Egidio con la moglie Elena d’Alfonso). Queste generazioni più remote sono deducibili solo dagli atti degli Arcipreti (allegati) perché se ci riferiamo all’atto di matrimonio vero e proprio, nell caso di questa famiglia, non andiamo oltre il 1846.

 

Possiamo costruire, a questo punto, l’albero genealogico che, nella parte apicale, non è altro che la trascrizione grafica di quello che è già riportato nel matrimonio 14 Fiorilli-Graziano del 1846.

I documenti presenti negli archivi anagrafici non ci permettono di spingerci ulteriormente nel tempo, ma abbiamo fatto comunque un salto, in qualche caso, anche di oltre tre secoli.

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San Giovanni in Galdo, il territorio, il paese, note storiche.

 

Concludo con l'inserimento di qualche aspetto relativo al territorio e a qualche nota storica, così come avevo fatto con le realizza dione, nel 1998, del CD-ROM su San Giovanni in Galdo.
Faccio riferimento alla foto scattata dalla Statale 87 in cui si vede San Giovanni al centro di una conca e si intravede la “ripe caveutat”, una vecchia cava abbandonata, in prossimità del torrente Fiumarello.
Nella descrizione che fa Masciotta del territorio dice che San Giovanni dista km 4 dalla stazione di Matrice-Montagano. In verità nel vecchio cartello della stazione compariva anche San Giovanni in Galdo.
Quando si andava a fare il militare, il biglietto veniva rilasciato fino alla stazione più vicina al comune di residenza. Nel mio caso era la stazione di Bonefro, la più prossima a Colletorto. Nel caso di San Giovanni era Matrice, ma i militari sangiovannari trovavano più comodo scendere a Campobasso e venire in paese in autocorriera.
Nella stessa descrizione, Masciotta dice che il punto più alto del territorio è il Colle Rimontato, "cor m'nna't".

E proprio su Colle Rimontato sorge il Tempio Italico del II secolo a. C., ad evidenza che questo territorio era già abitato al tempo dei Sanniti. Una bella rappresentazione è quella che figura nel quadro del Professore De Rubersis, qui presente, in cui si venodo queste anime che si portano al tempio per omaggiare la dea Cerere per avere buoni raccolti.
Il tempio doveva essere di dimensioni notevoli, nella foto vediamo solo la parte posteriore con al centro l’alto podio. Il tempio si prolunga in avanti come evidenziano le basi delle colonne. Ed in questo luogo non venivano solo i sangiovannari ma tutte le genti del territorio. Il leone in piazza municipio e quelle sculture presenti nella zona antistante il cimitero sembra siano coeve al tempio stesso.

 

 

Il nucleo primordiale del paese, nel luogo attuale, si suppone edificato intorno all'anno 1000. Esso sorge su un costone di roccia che sul lato ad nord-ovest sovrasta una zona impervia alla cui base scorre il torrente del Fosso San Rocco. Questo dirupo fa da protezione naturale all’abitato e vi troviamo solo case in parte diroccate, da cui "Muro Rotto", "Morrutto".
Nella parte a valle del nucleo abitativo primordiale, a sud-ovest, troviamo la Porta Occasum, porta che, nei documenti del 1800, viene citata, anche se in modo non frequente, come "Porta da Piedi", e credo che ci si volesse riferire proprio a questa porta. In prossimità di essa, troviamo delle abitazioni che evidenziano un aspetto più antico con contrafforti, un pò come antiche mura.

 

Evidentemente questa parte non è stata interessata dalla sovrapposizione di altre costruzioni come vediamo su via Marconi. Le case che contornano il borgo su via Marconi sono di fattura più recente, credo che non superino i 100 anni. Il Sindaco Credico evidenzia come all'interno di queste case, al piano terra, è possibile evidenziare le tracce di questo costone tufaceo. Inoltre in prossima alla porta occasum vi era una torretta di guardia.
Faccio riferimento anche alla Porta Alba (porta di ingresso ad est) che, in un dipinto sempre del Prof. De Rubertis, qui presente, mostra delle fatture simili a quelle della Porta occasum ed anche in questo caso, l'artista, vi raffigura accanto una torretta. Oggi di questa porta rimane solo l'ingresso in sottoportico che non immette più all'interno del borgo.

Ad immettere nel borgo, dal lato superiore è l'arco sottostante il campanile. Qui, prima di entrare, possiamo osservare la mura di un'imponente costruzione, la Casa Abaziale. Questa sorge direttamente sul costone roccioso ed anche in questo caso, la sovrapposizione di altre costruzioni non ci permette di capire se vi fossero dei contrafforti. Su questo lato, non essendo la zona particolarmente scoscesa, è possibile che la difesa era rappresentata proprio dal costone stesso.
Entrando nel borgo ci troviamo nel "Largo della Chiesa" sul quale affaccia con il suo ingresso principale, sul cui portone c'è lo stemma cardinalizio, proprio la residenza dei feudatari ecclesiastici. Sul Palazzo era presente la “saettera” una specie di "videocitofono", del tempo, da cui, però, si poteva anche scagliare una lancia contro la persona indesiderata.

 

 

Fuori dal nucleo primordiale, ci troviamo nel luogo chiamato, un tempo, Largo della Croce (oggi Piazza Municipio), per la presenza di una Croce viaria del 1545.
Nella foto d'epoca vediamo la facciata della Chiesa di San Germano, anch'essa di antiche origini, e che dà il nome ad un vero e proprio borgo ("fuori dalle mura"), il Borgo San Germano. La facciata della chiesa appare con le rifiniture in marmo su intonaco di color marrone (così lo ricordo). All'interno della chiesa sono conservate opere provenienti dalla vecchia chiesa, come il Pulpito trecentesco. La volta dell’abside è stata affrescata dal campobassano Amedeo Trivisonno. Dallo scenario delle genesi del vecchio testamento, si arriva alla crocifissione; ma l'artista ha voluto inserire anche una scenografia contemporanee con un treno che passa sul ponte.<

 

Un ricordo va all’Abate e Parroco Don Giovanni Zampino che promosse il restauro della chiesa.
E’ l’Arciprete che ha consacrato il nostro matrimonio.
In questa stessa foto è individuabile l’Ufficio Postale posto in uno dei fondaci del ex Palazzo Vasilotta; l’Ufficiale Postale era Francesco Vasilotta, come ho trovato un un atto di fine 1800.
Il Sindaco Credico evidenzia la presenza dei tre gradini che permettono di raggiungere la zona sopraelevata. Questa era un'area riservata al transito dei soli benestanti, come la loggia dei Signori, in altre località. I "Signori", uscendo dalla chiesa, non dovevano sporcarsi le scarpe e salivano su questa parte rialzata. Le persone comuni che potevano transitare solo sulla strada in basso.

Ho inserito anche alcuni personaggi di San Giovanni che hanno avuto fama anche oltre i confini regionali.
Padre Dionisop Piccirilli, alla nascita Michele, Padre Provinciale e teologo e autore di diverse opere, lo ricorda anche Masciotta.
L’altro personaggio è Padre Carmelo, alla nascita Giuseppe, Di Donato, Padre Guardiano ai tempi di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Mio suocero lo ricordava come grande persona che solo a guardare una scritta latina la ltraduceva all’istante.

 

 

In quest’ultima foto sono rappresentati alcuni costumi molisani, cosi come li ha affrescati l'artista Arnaldo De Lisio al Teatro Savoia di Campobasso. Mi si dice che solo uno è il costume tipico di San Giovanni. E qui voglio ricordare il Prof. Nicolino Di Donato da poco scomparso, che con il gruppo folcloristico degli Zig-Zaghini ha fatto conoscere le tradizioni del paese in tutto il mondo.

Ringrazio tutti voi qui presenti per aver partecipato e per l'attenzione dimostrata.

E' possibile qualche modifica del testo per correggere errori di scrittura, ripetizioni o incongruenze.

San Giovanni in Galdo in CD-ROM 1998

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